Collaborare con un centro di accoglienza è senza dubbio un esperienza che ti segna in maniera indimenticabile.
Sono passati 2 anni da quando i talebani hanno ripreso il controllo in Afghanistan, accogliere 14 afgani destinati al CAS con cui collaboravo è stata un esperienza che unita alle altre centinaia di storie mi ha sicuramente dato un opportunità significativa.
Ancora mi sento con qualcuno di loro … insieme a tanti altri volti, storie e anime me li porto dentro.
Un tempo pensavo di non esser molto brava con la pazienza, con la perseveranza, anche se poi, pensando l’esperienze e la realtà mi ha dimostrato il contrario.
L’idea di attendere il momento giusto spesso mette in uno stato impaziente … attendere il momento giusto non significa irrigidirsi in una tensione verso il futuro o sedersi ad aspettare che le cose accadano, ma semplicemente restare nella consapevolezza che è nell’ordine naturale delle cose che al momento adatto si presenti l’occasione giusta per fare quello che vogliamo.(nelle migliori delle ipotesi!)
Nell’era della velocità e del “tutto e subito”, l’attesa è una delle condizioni vissute con maggior disagio e difficoltà.
Ovviamente ogni situazione è a sé, ovvero ci sono circostanze in cui il disagio è comprensibile e totalmente giustificato, come quando l’attesa è legata ad eventi drammatici e dolorosi, come la malattia o l’esito di un esame diagnostico, ma fortunatamente non sempre è così.
Spesso però viviamo con eccessiva insofferenza anche situazioni banalmente quotidiane, in questi casi farsi prendere dal nervosismo e dall’insofferenza risulta inutile, mentre potrebbe essere occasione di NON FARE e RESTARE con quel che c’è.
Soprattutto non possiamo credere e sperare di determinare e definire tutto ….. accogliere ciò che arriva è un talento da sviluppare, fidandoci e affidandoci.
Io amo credere che c’è sempre qualcosa di meraviglioso che mi attende (e non provate a farmi cambiare idea!)
Il silenzio è un grande assente della nostra quotidianità.
La comunicazione verbale ha ormai preso il predominio sulla dimensione dell’ascolto di sé stessi e degli altri, togliendo spazio ad altri tipi di linguaggio di cui siamo effettivamente capaci.
Pensiamo al linguaggio del tatto, al linguaggio dell’olfatto e sopratutto quello dello sguardo !
Il silenzio sottolinea le nostre sensibilità. Stando in silenzio non solo possiamo ascoltare con maggiore attenzione la parola dell’altro, e quindi “incontrarlo”,ma anche dar spazio all’altro di prendersi i suoi tempi per gestire parole,pensieri ed emozioni.
Indubbiamente oggi sempre più, notiamo comportamenti sociali “orientati” al rumore, all’ascoltare qualcosa per sfuggire il silenzio che spesso diventa pesante, ingombrante “rimandando” anche l’ascolto di sé.
Invece credo fermamente,che anche il SILENZIO ha la sua bellezza, e che fermarsi ad ascoltare il silenzio è un esercizio funzionale, utile oserei dire opportuno (da praticare con costanza)
Il silenzio ha un significato, anche durante i colloqui, il cliente può scegliere in qualche frangente di restare in silenzio e io in attento ascolto, come diceva il grande Paul Watzlawick e i teorici della comunicazione “non si può non comunicare”.
Nel tempo dedicato al colloquio vale anche il silenzio (eccome!)
Io amo il silenzio anche se difficile da ricercare, ma davvero utile e fondamentale.
E tu che rapporto hai con il silenzio? hai voglia di raccontarmelo qui sotto ? seguimi e a presto
Sentiamo spesso parlare di intelligenza emotiva , ma cosa significa ?
Con intelligenza emotiva s’intende la capacità di riconoscere, identificare, controllare e gestire le proprie emozioni e quelle degli altri allo scopo di raggiungere determinati obiettivi.
Daniel Goleman riassume in due aspetti fondamentali:
A)sapersi rapportare in modo adeguato alle situazioni in cui ci si trova
B)avere buone relazioni con gli altri individui.
5 sono le competenze emotive fondanti : consapevolezza, autocontrollo, motivazione,
empatia e abilità sociali.
Fatevelo bastare queste poche parole e trovare la voglia di leggerlo : merita !
Decidiamo di fare almeno una gentilezza la giorno? siete d’accordo?
E’ così bello ricevere una gentilezza, ma anche farla e a volte lo è ancora di più!
Qualche piccolo suggerimento per fare della gentilezza uno stile di vita:
Sorridete, anche senza motivo. Perché un vostro sorriso potrebbe illuminare la giornata di qualcun altro.
Salutare chi incontrate, con un sorriso, rispondere in modo pacato ed equilibrato, significa ascoltare chi ti sta parlando, magari chi si sta aprendo con delle confidenze, significa dare consigli, significa rispondere sempre (anche con un no) a una richiesta, significa aiutare se qualcuno è in difficoltà, significa non giudicare, significa sforzarsi a capire gli altri e i loro punti di vista.
Fare un regalo a chi vi sta a cuore: un libro, un mazzo di fiori o bigliettino, un messaggio o un semplice abbraccio. A voi la scelta!
Chiedete scusa, quando sbagliate, si eviterebbero molti malintesi, molte discordie, molti malesseri.
Preparate ad un vostro caro il suo piatto preferito e condividetelo con lui. Mangiar bene in compagnia è, infatti, un piccolo atto di gentilezza verso voi stessi e chi vi sta accanto.
Chi di voi lo ha letto o lo conosce?? “Cosa significa kintsukuroi? Il Kintsukuroi è l’arte giapponese di aggiustare ciò che si è rotto. Ad esempio quando un pezzo di ceramica si rompe, i maestri artigiani del kintsukuroi ne raccolgono i frammenti e li saldano, riempiendo e crepe con l’oro. Rappresenta la metafora delle fratture, delle crisi e dei cambiamenti che l’individuo può trovarsi ad affrontare durante la vita. L’idea alla base è che dall’imperfezione e da una ferita possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore.” Un libro che mi ha regalato una carissima amica tempo fa, che non avevo mai finito di leggere (ora sto recuperando “appassionatamente”) e settimana scorsa ne ho parlato con un’altra in tutt’altro contesto. Come sempre il caso non è un caso, e con quest’ultima spero presto di sviluppare dei progetti gustosissimi, di cui appena posso ….immagino in autunno vi parlerò! #Kintsukuroi#artegiapponese#metafora #consapevolezza #resilienza #autostima #creativity #libri #estate 2022 #autostima #mindset
Questa canzone parla della necessità di mostrare i propri limiti e di conoscere sé stessi per trovare la felicità: basta sentirsi degli eroi, basta far vedere agli altri di essere invincibili. La convinzione nel ribadire di non fermarsi all’apparenza, di tendere la mano per combattere insieme i lati oscuri di una società sempre più nascosta dietro a uno schermo o a delle maschere e delle convenzioni. Una società poco protesa verso il prossimo, che pian piano tende a dimenticare la verità dei rapporti e l’importanza di essere animali razionali=uomini=esseri umani. Mostrare il proprio volto più vero è sempre l’arma vincente. E ne sono assolutamente convinta anche io. Conoscere sé stessi, conoscere perché no anche le proprie debolezze e fragilità e farsele amiche. Dando il meglio di se stessi, nel rispetto degli altri, ma senza essere giudicato da nessuno.
la prima volta che ho sentito questa canzone mi ha inchiodato al divano !
In questa canzone la grande Fiorella invita a benedire la vita, a tenersela stretta.
Come noto il brano parla della vita e il tema è rialzarsi dopo ogni batosta e dopo ogni sconfitta. Per quanto assurda – dice il testo – la vita è perfetta; non nel senso che rappresenti la perfezione in senso stretto, ma perché se cadi si ferma comunque ad aspettarti.
E qui si torno a parlare di gratitudine … al rispetto della vita stessa e viverla fino in fondo senza darsi mai per vinti.
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